Sono un cantautore…scrivo e compongo pezzi da quando avevo 15 anni…e NON voglio arrivare a vivere solo di questo.
Ho sempre pensato che per spiegare chi sono, sarebbe bastato dire da dove sono partito e dove voglio arrivare…
Ma durante il percorso della mia vita mi sono reso conto che non basta questo per far comprendere chi sei veramente.
In fondo come si può spiegare in “due parole” tutte le battaglie, le scelte, le lacrime, le gioie e i dolori che una persona ha vissuto e sta vivendo tuttora?!
Per farlo, mi sono sempre appoggiato alla musica…
Infatti nasce cosí il mio scrivere canzoni; dal bisogno di espressione.
Da quel bisogno di raccontare e raccontarsi attraverso musica e parole.
Fin dai primi accordi con la chitarra, ho capito che non era solo un passatempo o una semplice “passione”. La musica era molto di più…
Tanto che mi ha portato a tirar fuori i primi versi, proprio perchè riconoscevo, in quelle rime incastrate con note musicali, una potenza di impatto su chi ascoltava, decisamente più grande rispetto al parlare in modo “comune”.
Una di quelle cose che le persone prima “sentono”, poi “ascoltano”, poi si “connettono” con ciò che hai detto e infine la fanno “propria”.
Sembra banale, ma questo lo facciamo anche con i nomi delle persone.
Mi ha sempre incuriosito e da un lato anche affascinato, osservare il modo che abbiamo di recepire o “non recepire” i nomi di quando ci presentiamo a qualcuno.
Seguimi…
Quando ci presentiamo, puntualmente siamo concentrati a dire il nostro nome, e non prestiamo ascolto a chi ci sta davanti, che sta facendo essenzialmente la stessa cosa. Quindi, scansando ogni paura di fare una mera figura di m**** ci troviamo spesso a dover chiedere nuovamente il nome di quella persona (per i più impavidi) o con più probabilità, lasciamo in piedi la domanda all’interno della nostra testa, che ci accompagnerà per il resto della vita, riducendola semplicemente a: “Come si chiamava quello?”. Ed ecco che abbiamo ribattezzato il povero o la povera mal capitata, con il nome di “Quello” o “Quella”.
Ma quando vogliamo “imparare” e ricordarci il nome di qualcuno, dobbiamo fare alcuni semplici passi in più, ma che fanno una totale differenza…
Dobbiamo innanzitutto “sentire” la voce di chi si presenta. Subito dopo “ascoltare” il nome di quella persona (lo specifico, perchè ad oggi non è scontato, visto che il problema principale a mio parere, è che non ascoltiamo più…siamo troppo sintonizzati su noi stessi e concentrati nel nostro mondo che diventa sempre più stretto), quindi poi dobbiamo “connetterci” con ciò che ha detto e riuscire a comprendere il nome di quella persona per poi, infine, farla “nostra” e chiamarla con il diminutivo che quel nome ci ispira…
Tutto questo non lo facciamo sempre, ma quando lo facciamo, se ci pensi, dobbiamo necessariamente compiere questi passi…Forse alcuni ci mettono più di altri a fare certi passaggi…Ad esempio non tutti riescono da subito a dare un diminutivo ad un’altra persona. Ma è solo questione di tempo, alla fine arriviamo tutti a fare questi passi nei confronti delle persone con cui ci relazioniamo.
Ed ecco che un Lorenzo diventa “Lori”, una Maria diventa “Mari”, un Antonio “Totò” e una Marlena…be credo rimanga “Marlena”! (Al massimo Marli!)
E a me? Come mi chiamano?
Di solito mi presento dicendo il mio nome: “Salvatore”, non faccio caso a come lo dico, ma aspetto sempre che l’altro si presenti con il suo…cosí ho modo di ricordarlo già da subito.
E poi avviene la magia…
Succede una di quelle cose che adoro e che adotto io stesso fin da subito.
Mi abbreviano il nome…
e succede sempre!
Cosí sono diventato: Tore, Turiddu, Totò, Tutunnico, Sasà, Salvatò, Salva…
E succede perchè hanno fatto “proprio” il mio nome, e vogliono abbreviarlo per “accorciare le distanze”…ed è una cosa bellissima.
Cosí mi presento nuovamente e le accorcio io per te: Mi chiamo Salvatore, ma tutti mi chiamano “Salvo”.
Photo: Letizia Castellani